Associazione Agricoltura Biodinamica Italiana
L’impatto ecologico degli OGM

L’impatto ecologico degli OGM


Paola Migliorini
Università degli Studi di Scienze Gastronomiche, Pollenzo
I rischi ecologici più gravi provocati dall’uso commerciale su vasta scala delle colture transgeniche, avendo queste il potere di riprodurre combinazioni di geni non presenti in natura, sono:
la diffusione delle colture transgeniche minaccia la diversità genetica delle colture attraverso la semplificazione dei sistemi colturali e la promozione dell’erosione genetica, cosi come e’ già stato per la produzione industriale delle sementi agricole e le colture ibride;
si diffonde l’inquinamento genetico di varietà naturali (flusso genico) verso altre varietà della coltura o verso parenti selvatici dovuto al trasporto di polline attraverso il vento o insetti impollinatori. Nel primo caso si tratta di un inquinamento da OGM verso altre piante coltivate non-OG:M (es. soia o mais) e che costituisce un serio problema presente ovunque (anche questo e’ riportato nel rapporto 2010 dell’Accademia Nazionale delle Scienze americana) a cui non si riesce a porre rimedio, soprattutto in areali di coltivazione dove le aziende sono medio-piccole. Il secondo caso e’ molto pericoloso nel caso di colture quali cotone, colza e barbabietola, ma anche orzo, avena e girasole, che hanno parenti selvatici molto diffusi negli agroecosistemi.
vi e’ il potenziale trasferimento di geni da colture erbicida-resistenti a parenti selvatici o semiaddomesticati creando così super infestanti. Ad oggi sono stati documentati centinaia di casi di resistenza a triazina, solfoniluree e imidazolinone su oltre 80 specie di piante spontanee alcune delle quali hanno sviluppato multi-resistenze. Questo aspetto è documentato nel rapporto 2010 dell’Accademia Nazionale delle Scienze americana, inconveniente per il quale suggeriscono di utilizzare altri erbicidi, diversi da quello per cui e’ resistente la pianta transgenica, sconfessando di fatto l’utilità di tale tecnologia o ammettendo che porta ad aumentare l’uso di erbicidi;
colture erbicida-resistenti possono diventare infestanti nelle colture successive. Questo aspetto non è molto diffuso ma è presente, in particolare per quelle colture che vanno a seme prima della raccolta e li fondono, producendo piante erbicida-resistenti che causeranno sulla coltura successiva molta competizione;
risulta criticabile l’affermazione secondo cui con le colture erbicida-resistenti si riduce l’erosione del suolo perché si può evitare di arare il terreno. L’aratura non viene fatta solo per controllare le infestanti, ma ha molti altri benefici agronomici (es. struttura il terreno). E’ vero che arare spesso il terreno ha portato alla riduzione della fertilità del suolo e che l’agroecologia e l’agricoltura biologica ricorrono a tecniche di minimum tillage o zero tillage oltre a numerose altre tecniche per garantire la qualità del terreno, tuttavia, la presenza e la copertura delle infestanti in misura controllata risulta utile proprio per evitare l’erosione dell’acqua battente e la mineralizzazione del topsoil oltre che per ridurre l’evapotraspirazione del suolo nudo.
si induce un aumento nell’uso di pesticidi (es. nel caso di tutti gli insetti non target per le tossine Bt) ed erbicidi, con aumento dei costi e dei danni ambientali. Ad esempio, gli erbicidi bromoxynil and glyphosate, a dispetto di quanto assicurano le ditte produttrici, sono prodotti tossici e dannosi per l’ambiente e per gli organismi del suolo e degli agroecosistemi acquatici (Pimentel et al. 1989).
l’uso di colture erbicida-resistenti mina la possibilità di diversificazione delle colture riducendo agrobiodiversità nel tempo e nello spazio ed aumentando la monocoltura;
si contribuisce alla creazione di nuovi batteri patogeni attraverso il trasferimento genico orizzontale mediato da vettori e ricombinazione;
si contribuisce alla generazione di nuovi ceppi virulenti di virus attraverso ricombinazione, soprattutto in colture transgeniche, progettate per la resistenza virale con geni virali;
gli insetti parassiti sviluppano una resistenza alle colture con tossina Bt. Questo non e’ un rischio, ma un danno certo, documentato anche dal rapporto 2010 dell’Accademia Nazionale degli USA, per evitare il quale, l’Agenzia di Protezione Ambientale USA raccomanda di coltivare piante Bt alternandole con piante non-Bt (almeno 30-40% della SAU) secondo degli schemi precisi, assicurando una certa distanza tra file di piante Bt in modo da garantire la sopravvivenza alle popolazioni di insetti suscettibili alle tossine Bt, riducendo di molto la praticabilità, oltre che la diffusione su larga scala, delle colture transgeniche senza che comportino danni.
Da questo elenco derivano alcune conseguenze molto gravi:
  • perdita di biodiversità vegetale e animale;
  • aumento della monocoltura vs la policoltura;
  • semplificazione dell’agroecosistema e in particolare la diminuzione dei benefici connessi con una corretta gestione delle infestanti che, se controllate, non diminuiscono le rese ma coprono il terreno contro l’erosione e forniscono habitat e cibo per gli insetti utili;
  • aumento dell’agricoltura industrializzata su larga scala vs la piccola agricoltura di qualità;
  • impossibilita della coesistenza tra OGM e ogm-free e messa al bando dell’agricoltura biologica, IGP, DOP, etc. ed aumento dei costi per quegli agricoltori o allevatori che vogliono tenere una filiera OGM free;
  • uniformità produttiva e paesaggistica;
  • riduzione della sicurezza alimentare, aggravata dal fatto che i semi ogm sono protetti da brevetti e patenti.
La maggior parte delle innovazioni nelle biotecnologie agricole sono orientate al profitto piuttosto che ai bisogni. Quindi, pur non essendo contrari allo sviluppo di nuove tecnologie, è necessario integrare i risultati tecnici con le problematiche socio-ecomiche per poter avere un quadro completo dell’impatto agronomico dell’innovazione biotecnologica, in questo caso rappresentata dalle colture OGM, e avere un approccio agroecosistemico per la valutazione di queste che consideri le differenze nel ruolo della biodiversità nei vari agroecosistemi, comprese le diverse interrelazioni ecologiche, culturali, genetiche ed economiche, oltre che i diversi sistemi di produzione sementiera, di conservazione delle sementi e di concessione dei diritti (es: diritto di proprietà intellettuale).

Paola MiglioriniUniversità degli Studi di Scienze Gastronomiche, Pollenzo

I rischi ecologici più gravi provocati dall’uso commerciale su vasta scala delle colture transgeniche, avendo queste il potere di riprodurre combinazioni di geni non presenti in natura, sono:la diffusione delle colture transgeniche minaccia la diversità genetica delle colture attraverso la semplificazione dei sistemi colturali e la promozione dell’erosione genetica, cosi come e’ già stato per la produzione industriale delle sementi agricole e le colture ibride;si diffonde l’inquinamento genetico di varietà naturali (flusso genico) verso altre varietà della coltura o verso parenti selvatici dovuto al trasporto di polline attraverso il vento o insetti impollinatori. Nel primo caso si tratta di un inquinamento da OGM verso altre piante coltivate non-OGM (es. soia o mais) e che costituisce un serio problema presente ovunque (anche questo e’ riportato nel rapporto 2010 dell’Accademia Nazionale delle Scienze americana) a cui non si riesce a porre rimedio, soprattutto in areali di coltivazione dove le aziende sono medio-piccole. Il secondo caso e’ molto pericoloso nel caso di colture quali cotone, colza e barbabietola, ma anche orzo, avena e girasole, che hanno parenti selvatici molto diffusi negli agroecosistemi.vi e’ il potenziale trasferimento di geni da colture erbicida-resistenti a parenti selvatici o semiaddomesticati creando così super infestanti. Ad oggi sono stati documentati centinaia di casi di resistenza a triazina, solfoniluree e imidazolinone su oltre 80 specie di piante spontanee alcune delle quali hanno sviluppato multi-resistenze. Questo aspetto è documentato nel rapporto 2010 dell’Accademia Nazionale delle Scienze americana, inconveniente per il quale suggeriscono di utilizzare altri erbicidi, diversi da quello per cui e’ resistente la pianta transgenica, sconfessando di fatto l’utilità di tale tecnologia o ammettendo che porta ad aumentare l’uso di erbicidi;colture erbicida-resistenti possono diventare infestanti nelle colture successive. Questo aspetto non è molto diffuso ma è presente, in particolare per quelle colture che vanno a seme prima della raccolta e li fondono, producendo piante erbicida-resistenti che causeranno sulla coltura successiva molta competizione;risulta criticabile l’affermazione secondo cui con le colture erbicida-resistenti si riduce l’erosione del suolo perché si può evitare di arare il terreno. L’aratura non viene fatta solo per controllare le infestanti, ma ha molti altri benefici agronomici (es. struttura il terreno). E’ vero che arare spesso il terreno ha portato alla riduzione della fertilità del suolo e che l’agroecologia e l’agricoltura biologica ricorrono a tecniche di minimum tillage o zero tillage oltre a numerose altre tecniche per garantire la qualità del terreno, tuttavia, la presenza e la copertura delle infestanti in misura controllata risulta utile proprio per evitare l’erosione dell’acqua battente e la mineralizzazione del topsoil oltre che per ridurre l’evapotraspirazione del suolo nudo.si induce un aumento nell’uso di pesticidi (es. nel caso di tutti gli insetti non target per le tossine Bt) ed erbicidi, con aumento dei costi e dei danni ambientali. Ad esempio, gli erbicidi bromoxynil and glyphosate, a dispetto di quanto assicurano le ditte produttrici, sono prodotti tossici e dannosi per l’ambiente e per gli organismi del suolo e degli agroecosistemi acquatici (Pimentel et al. 1989).l’uso di colture erbicida-resistenti mina la possibilità di diversificazione delle colture riducendo agrobiodiversità nel tempo e nello spazio ed aumentando la monocoltura;si contribuisce alla creazione di nuovi batteri patogeni attraverso il trasferimento genico orizzontale mediato da vettori e ricombinazione;si contribuisce alla generazione di nuovi ceppi virulenti di virus attraverso ricombinazione, soprattutto in colture transgeniche, progettate per la resistenza virale con geni virali;gli insetti parassiti sviluppano una resistenza alle colture con tossina Bt. Questo non e’ un rischio, ma un danno certo, documentato anche dal rapporto 2010 dell’Accademia Nazionale degli USA, per evitare il quale, l’Agenzia di Protezione Ambientale USA raccomanda di coltivare piante Bt alternandole con piante non-Bt (almeno 30-40% della SAU) secondo degli schemi precisi, assicurando una certa distanza tra file di piante Bt in modo da garantire la sopravvivenza alle popolazioni di insetti suscettibili alle tossine Bt, riducendo di molto la praticabilità, oltre che la diffusione su larga scala, delle colture transgeniche senza che comportino danni.

Da questo elenco derivano alcune conseguenze molto gravi:

 

  1. perdita di biodiversità vegetale e animale;
  2. aumento della monocoltura vs la policoltura;semplificazione dell’agroecosistema e in particolare la diminuzione dei benefici connessi con una corretta gestione delle infestanti che, se controllate, non diminuiscono le rese ma coprono il terreno contro l’erosione e forniscono habitat e cibo per gli insetti utili;aumento dell’agricoltura industrializzata su larga scala vs la piccola agricoltura di qualità;
  3. impossibilita della coesistenza tra OGM e ogm-free e messa al bando dell’agricoltura biologica, IGP, DOP, etc. ed aumento dei costi per quegli agricoltori o allevatori che vogliono tenere una filiera OGM free;
  4. uniformità produttiva e paesaggistica;
  5. riduzione della sicurezza alimentare, aggravata dal fatto che i semi ogm sono protetti da brevetti e patenti.La maggior parte delle innovazioni nelle biotecnologie agricole sono orientate al profitto piuttosto che ai bisogni.


Quindi, pur non essendo contrari allo sviluppo di nuove tecnologie, è necessario integrare i risultati tecnici con le problematiche socio-ecomiche per poter avere un quadro completo dell’impatto agronomico dell’innovazione biotecnologica, in questo caso rappresentata dalle colture OGM, e avere un approccio agroecosistemico per la valutazione di queste che consideri le differenze nel ruolo della biodiversità nei vari agroecosistemi, comprese le diverse interrelazioni ecologiche, culturali, genetiche ed economiche, oltre che i diversi sistemi di produzione sementiera, di conservazione delle sementi e di concessione dei diritti (es: diritto di proprietà intellettuale).

 

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