di Amedeo Vuch
L’autunno è un lasso di tempo in cui la natura si prepara gradualmente a una forma di immobilismo, però ingannevole: la neve e il gelo dell’inverno sono come la cenere che ci nascondo quello che cova sotto di essa. Sotto la neve, in profondità , il terreno accoglie ed elabora le forze cosmiche. Anche le api fanno qualcosa di simile: rompono i ponti con ciò che è terrestre, si privano dei legami con l’esterno sopprimendo il loro organo sensoriale, i fuchi, mantenendo unicamente il legame con il cosmo tramite la regina. Nel periodo invernale l’uomo cerca un ambiente caldo affinché il suo io non si indebolisca e si ammali. Altrettanto fanno le api che si chiudono sempre più a palla per scaldarsi e fare in modo che l’io del glomere non si indebolisca; perché ciò non avvenga bisogna che l’apicoltore biodinamico sia per esse un collaboratore cosciente che compie le azioni appropriate nel rispetto della loro natura.
Per essere pratici:
1. non smielerà  i telaini del nido e non alimenterà la famiglia con zucchero ma con miele in aggiunta a del thè fatto con fiori di campo, prediligendo quelli che fioriscono nei primi giorni di maggio.
2. ridurrà lo spazio nel nido togliendo i telaini vuoti che sono ai lati, riempiendo questi spazi con pannelli di sughero o paglia allo scopo di ridurre il volume che le api devono scaldare.
3. ridurrà i fori di entrata e coibenterà il fondo dell’arnia.
4. potrà essere utile usare come coperchio, sotto quello in lamiera, una lastra precostruita fatta di calce spenta e sughero granulare per assorbire l’umidità che si forma all’interno.
Teniamo presente che è il freddo umido che uccide le api, se poi le arnie sono posizionate in zone con ristagni di umidità o in correnti d’aria, il glomere farà fatica a scaldarsi e, impossibilitato a muoversi per il freddo, perirà nonostante le provviste di miele adiacenti.
Le arnie Dadant – Blatt sono comode per l’uomo ma non per le api. Il nido grande è utile in primavera-estate ma d’inverno è come un appartamento che non si riesce a scaldare e ha zone fredde dove poi si crea condensa.
Personalmente ho avuto modo di vedere in Slovenia arnie tipo Snidarcic. Sono basse e non larghe e si può farle più lunghe, permettendo in questo caso al glomere di spostarsi unito lungo i telaini che occupa. In questo modo il glomere cambia posizione spostandosi dalle zone delle covate verso le zone dove ha lasciato le riserve precedentemente accumulate. Inoltre, la sua sezione più piccola permette un più facile riscaldamento dell’arnia.
Dico questo perché sempre in Slovenia, in un paesino sperduto di montagna, ero alla ricerca di sciami di ape carnica quando un vecchio contadino mi mostrò le sue api. Rimasi stupito e scioccato di quanto vidi, erano alloggiate in vecchie cassette di munizioni risalenti alla guerra. Basse, lunghe e piene di buchi ai lati perché ormai il legno stava marcendo. Inoltre erano appoggiate direttamente al suolo. Sicchè quando gli feci presente queste anomalie l’uomo non si scompose e anzi mi disse che non ha mai avuto problemi: quelle api le aveva da anni e non aveva mai avuto episodi di moria, tanto che sciamavano in continuazione. Insomma, l’uomo non si era mai scomodato a far altro che prelevare con i vecchi metodi quel poco miele che gli serviva, e cosa potevo dirgli io dopo aver visto la famiglia di api super attiva e vitale?
Salutai il vecchio e tornai a casa con tante convinzioni infrante e tanti dubbi nuovi da dissipare:
1. quanto influisce sulla famiglia di api il punto esatto della dimora dell’arnia?
2. quanto la forma dell’arnia e i materiali di costruzione?
3. quanto gli interventi dell’uomo sull’organismo (glomere), quindi lo spostamento dei telaini, allevamento delle regine, ecc.?
4. L’ambiente esterno (flora e forze eteriche del territorio)
L’inverno che ci attende ci darà del tempo per fare le riflessioni che in primavera ogni apicoltore poi tramuterà in azioni da compiere.