Giuseppe Rotilio
Università Tor Veragata
Roma Presidente della Federazione delle Società Italiane di Nutrizione
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E’ da tutti accettato che il rischio potenziale, legato alla diffusione della tecnologia OGM di prima generazione nel settore agro-alimentare, è quello di ridurre fortemente la biodiversità delle specie vegetali interessate. Meno focalizzata dagli addetti ai lavori è la possibilità che siano ridotte le differenze storiche che ancora sussistono fra le popolazioni umane, con il loro patrimonio diversificato di capacità culturali e biologiche di resistere ed adattarsi a mutamenti ambientali. Infatti, la nutrizione è in grado di influenzare il genotipo umano contribuendo alla molteplicità fenotipica dell’umanità attuale. Già la rivoluzione agricola di 10000 anni fa ha portato alla selezione di qualità predominanti di cereali come quota maggioritaria nell’apporto calorico giornaliero. Il caso del grano, del riso e del mais è esemplare a questo proposito, in quanto la loro diffusione rispettiva corrisponde a tre aree ben definite di fenotipi e di culture (Europa, Asia orientale e Centro America). In altre parole, la riduzione della biodiversità vegetale e umana, su basi alimentari e nutrizionali, è iniziata già da lungo tempo, e si è accelerata negli ultimi 500 anni per effetto dell’impatto della rivoluzione industriale sulla produzione agroalimentare. Ma la diffusione degli OGM aprirebbe un altro scenario, soprattutto se fosse autorizzato l’ingresso sul mercato degli OGM di seconda generazione, cioè di organismi vegetali (e in prospettiva anche animali) arricchiti di componenti nutritivi non naturalmente presenti. La tecnologia del DNA ricombinante permetterebbe la creazione di nuovi esemplari agronomici e zootecnici in tempi estremamente più brevi di quelli già sperimentati dall’umanità e la più drastica globalizzazione nutrizionale porterebbe ad una omogeneità fenotipica di Homo sapiens di un livello non immaginabile al presente. Le variazioni ambientali, cambiamenti climatici o infezioni pandemiche in primo luogo, avrebbero conseguenze ben più pesanti del vantaggio nutrizionale a breve termine che si otterrebbe con un cibo artificiale e di fatto farmacologico.