Terra e spirito Rifondare l’ecologismo con una scienza ideale e un’agricoltura della liberazione è il testo scritto da Carlo Triarico per la pubblicazione dell’Associazione Culturale “Centro Studi Giuseppe Colucci” di Penna San Giovanni “La spiritualità della Terra” a cura di Paolo Bascioni e Roberto Brioschi.
Riportiamo di seguito il contributo completo di Triarico. Buona lettura.
Una nuova agricoltura e una nuova Terra
La cura della casa comune chiede di fondare su nuove basi il dibattito sul futuro della Terra e dell’alimentazione. Davanti al progressivo aumento degli esseri umani candidati allo sterminio per fame, all’ingiustizia e alla disgregazione degli equilibri naturali, potremo plasmare un futuro degno se sapremo nutrirlo di una creatività spirituale, tale da concepire un’altra convivenza. Una parte importante di questo futuro è oggi riposto nella possibilità di cambiare il paradigma agroalimentare. In questo compito possiamo contare su di una condizione di vantaggio. Mentre infatti per altre attività umane siamo in una fase ancora sperimentale di prassi della transizione ecologica, il paradigma ecologico in agricoltura, nato ad opera dell’agricoltura biodinamica, ha un secolo di pratiche in campo e relazioni sociali consolidate. Non solo.
L’agricoltura ecologica con le sue soluzioni empiriche, è nata sulla scorta di una teoresi rigorosa concepita da Rudolf Steiner insieme ai suoi allievi. L’ecologismo ha infatti una fonte nella riflessione spirituale della Scienza dello spirito e della Filosofia della libertà , una scuola di pensiero volta alla libertà dell’essere umano, concepita su solide basi spirituali. Un testo come “La Filosofia della libertà †di Steiner pone non solo la questione della crisi, ma anche le fondamenta per il suo superamento ad opera di una prassi umana libera. L’agricoltura ecologica, regolamentata in Europa fin dal 1991 e oggi punto di riferimento per il Green Deal UE, nasce per semplificazione dall’agricoltura biodinamica. Gli stessi regolamenti europei che ne hanno normato l’applicazione e il mercato sono stati mutuati dalle linee guida concepite dall’agricoltura biodinamica fin dal 1929 e contenute negli standard Demeter. Si tratta dell’esempio vivente, ad opera contadina, di come un’azione per il cambiamento possa essere fondata su base spirituale. Tale esempio, per la sua rivoluzionaria portata, è stato osteggiato dai totalitarismi del Novecento e costituisce ancora oggi una scomoda verità per una scienza retriva, al servizio di un dogma sociale e scientifico reazionario. Una scienza siffatta vuol lasciar credere che le attuali ingiuste relazioni della convivenza siano le condizioni ineludibili dell’esistenza. L’agricoltura ecologica sorta da una scienza spirituale, però, difficilmente può essere rimossa, anche di fronte a tentativi pervicaci di esclusione e addomesticamento. L’agricoltura biologica potrebbe essere infatti ridotta a una mera tecnica di sostituzione di sostanze meno inquinanti, senza modificare il modello agroalimentare dei nostri tempi. A questo tentativo di addomesticamento l’agricoltura biodinamica oppone, a vantaggio di tutta l’agricoltura, la missione di formare un contadino e un cittadino consapevoli, capaci di concepire nuovi paradigmi agroalimentari.
Abbiamo legato il futuro della Terra a un’ideologia che presenta sé stessa come necessità al fine di celare processi sociali e tecnici arbitrari e ingiusti. Spazzato ogni confronto critico, oggi le teorie economiche marginaliste neoclassiche e persino l’ipotesi neoliberista hanno smesso di presentarsi come teorie interpretative di meccanismi sociali, per spacciarsi come la pura descrizione dell’universale sociale. La pretesa storica di una coincidenza del reale col razionale assolutizzato è vizio che diverse scuole di pensiero hanno denunciato come fondamento dei totalitarismi del Novecento. Tanto più però questa ideologia si presenta come inevitabile meccanismo, tanto più si svela come il risultato di una coercizione.
La filosofia sociale è invece un ambito ricco di possibilità . L’economia è una scienza viva di creatività . Esse non sono quello scheletro morto e meccanicamente ripetitivo a cui l’accademia e la politica le hanno ridotte nel perpetrare l’ingiustizia. Ce ne accorgiamo soprattutto nel lavoro sulla terra e nella vita dell’agricoltura, che viene fatta apparire ingannevolmente come mera attività economica primaria  e dovrebbe poter essere invece vita ed attività pienamente sociale e dunque pienamente una dimensione dell’umano. L’agricoltura, la filosofia sociale, l’economia possono associare altre discipline, come la politica, la matematica e la fisica, il diritto e la storia offrendoci la possibilità di un profondo cambio di passo per il futuro della Terra. Una solidarietà delle diverse discipline con il mondo dell’agricoltura consiste nella divisione e condivisione di questo lavoro umano che abbiamo davanti e che è ormai urgente compiere non solo per i contadini.
Beni virtuali, beni comuni e beni spirituali
Le nuove possibilità tecnologiche rischiano di essere stabilmente monopolio di élite dominanti capaci di appropriarsi della genetica agraria, della sovranità alimentare umana e di dati personali, tutti estratti e accumulati in grandi masse. Coi beni spirituali comuni sottratti alla libertà individuale, alle comunità umane e naturali esse cercano di indirizzare le sorti umane per occulti algoritmi, che hanno come fine una nuova accumulazione originaria. Grazie ad esse l’economia virtuale sta concentrando immani ricchezze e poteri via via sottratti non solo ai contadini, non solo al mondo della produzione e del lavoro, ma all’economia reale tout court. Si tratta però di possibilità tecnologiche che una scienza della liberazione può fare proprie per concepire profondità di analisi e ricchezza di prospettive umane. È una via che raramente è oggi percorsa, occupata com’è la strada da una pseudo-scienza unidimensionale e dogmatica, tanto nelle discipline sociali, tanto in quelle naturali, tanto in quelle umane. E il dogma della dottrina è che il mercato e la verità scientifica dominanti sono infallibili.
Tanto più questo credo è forte e pervasivo, tanto più esso può permettersi di adottare analisi deboli, spiegazioni insulse, azioni rudimentali per impedire il cambiamento di paradigma. Il crollo del modello agroalimentare, incapace di sfamare il mondo nonostante l’impiego di risorse e tecnologie potenti, ne è la manifestazione nuda. Come per ogni totalitarismo siamo davanti a un’ideologia che non è ricca di argomenti, ma forte di potere e capace di eliminare pensieri originali, paradigmi riformatori e comportamenti individuali liberi. Sull’agricoltura grava una dottrina fascinosa, che mira a irrigimentare le nuove generazioni mentre si ammanta di evidenze e dati artatamente selezionati per dimostrare l’immutabilità del paradigma agroalimentare e quindi sociale. Il paradigma meccanicistico che aveva dominato nella scienza a partire dal Diciannovesimo secolo e poi messo in crisi dalle riflessioni sul male del Novecento, ha oggi ripreso il vigore in un sistema che è ai suoi ultimi esiti e per questo rabbiosamente arroccato. Mentre per coscienza evolutiva i cittadini sempre più scelgono di alimentarsi in modo sano e i contadini scelgono di coltivare in modo libero, aumenta la disponibilità operativa di individui culturalmente poveri intenti a frenare e impedire l’evoluzione del sistema agroalimentare dei tempi correnti. Lo fanno per via giuridica, imponendo ai cittadini e ai contadini una scienza come una tecnica di Stato, o ricorrendo al condizionamento mediatico. La scienza ipotetica domina così sia l’accademia sia il dibattito pubblico delegittimando ogni approccio riformatore, affermandosi come religione dei dati fattuali, aggressiva verso il nuovo possibile. La scienza si proclama tecne, saper fare e viene spogliata di episteme, sapere cosa fare. Davanti a una sorta di monoteismo scientista abbiamo bisogno di una scienza immaginativa dei fenomeni naturali e dei fenomeni sociali, una scienza della liberazione. È questa la prospettiva che l’agricoltura biodinamica può contribuire ad aprire.
L’umile periferia terrestre
È sempre più chiaro che il sistema agroalimentare deve cambiare. Cresce infatti la preoccupazione per lo stato di salute della Terra e cresce l’instabilità , con il mondo che vede aumentare il numero degli esseri umani rifiutati e un conflitto mondiale che accende continuamente i suoi focolai. Non si tratta più di una sensibilità di pochi visionari. Davanti a uno sterminio contro i più deboli e contro le periferie del Pianeta, toccherà proprio alle periferie più emarginate di diven tare l’origine di impulsi verso nuove forme di convivenza. Per quanto siano occultate, appaiono proprio li le relazioni tra lo stato dell’ambiente, l’ingiustizia e l’impedimento allo sviluppo spirituale dell’essere umano. Proprio dalla vita rurale, come vita della convivialità (per dirla con Ivan Illich), sorgono esempi di vita umani e civili di un’ecologia integrale. È questo un processo innovatore polare a quello che programma di innovare su impulso e volontà di un centro dirigente. Proprio con dirigismo centralista si è cercato di intervenire sulle relazioni tra condizioni dell’ambiente rurale e politiche civili. Questo è stato il paradigma dell’agronomia che a partire dagli anni Settanta ha diffuso la “rivoluzione verdeâ€. Questa ideologia ha puntato sull’introduzione di una tecnocrazia agraria produttivista, che fosse capace di sfamare il Pianeta, sopprimere il disagio e sventare così le “rivoluzioni rosseâ€, con cui tanti affamati stavano sovvertendo violentemente equilibri geopolitici storici. L’innovazione dirigista era però destinata al fallimento, perché segnata almeno da due tare esiziali: l’illusione che il potere della tecnica sia in sé risolutivo e la concessione del dominio del processo a un’economia della competizione e dello scarto. E tanto più aumentava il disagio per una ricetta sbagliata e la catastrofe umanitaria e ambientale diventavano travolgenti, ancora più la politica agroalimentare ha continuato a seguire la sua ricetta, estremizzandone gli esiti verso un’agricoltura insostenibile imponendo come soluzioni le cause del male. Le soluzioni tecniche diventano sempre più sofisticate ed energeticamente insostenibili. Lo spreco consumistico, l’inquinamento, la distruzione delle risorse energetiche (specie non rinnovabili), lo sterminio per fame sono diventati i punti distintivi del sistema agroalimentare mondiale. Negli ultimi anni i candidati allo sterminio per fame sono aumentati di milioni. I “17 Sustainable developement goalsâ€, che l’ONU ha definito come gli obbiettivi necessari per cambiare il nostro mondo, rischiano di essere usati come alibi, lasciando intendere che siano un’utopia e non obbiettivi praticabili. Questo perché richiedono un cambio profondo e non semplici correzioni del sistema.
Se non è possibile continuare con un’agricoltura che consuma le risorse, minaccia la salute, impoverisce l’ambiente e gli stessi agricoltori, allora occorre concepire un’agricoltura ecologica come nuovo paradigma della convivenza I goals dell’ONU hanno senso se sono assunti come nuova agenda collettiva. Il nuovo modello agricolo non dovrà porsi solo sfide tecniche, ma acquisire una prospettiva di sistema e fondamenti spirituali. Va innanzitutto riconosciuta la natura sociale e non meramente economico produttiva e tecnologica dell’agricoltura. Quel mondo rurale, la casa di metà dell’umanità , da cui provengono cultura, diritto, nutrizione e mantenimento degli equilibri ambientali per tutti gli abitanti del Pianeta, esprime un fermento di innovazione, che può essere ispiratore per nuovi indirizzi e dare un senso alla svolta dei tempi. Dalle periferie più umili non emerge solo un disagio, ma anche un’azione consapevole verso un nuovo modello agricolo per l’ecologia integrale, guidato dalle comunità del cibo.
Per l’agricoltura biodinamica non c’è un luogo della superficie di un globo che possa arrogarsi di essere il centro, se non per arbitrio e a costo di ingiustizie. La periferia costituisce la fonte stessa dell’individualità agricola. Il suolo vivente si esprime come periferia vivente e grande evoluzione dell’umiltà . L’humus il colloide che ospita e permette la vita è il cuore di questo prezioso patrimonio vitale. Il suolo fertile di humus ospita una densità vivente e biodiversità come nessun altro luogo della Terra. Per questo l’umile periferia terrestre, contiene la massima presenza di vitalità del Pianeta. Gli ultimi in terra sono già i primi. Ma questa condizione non proviene da un semplice stato di natura. È dovuta al lavoro continuativo degli agricoltori per far coevolvere la terra madre, allevando l’humus per farlo diventare un essere dalle qualità straordinarie. Il rovesciamento delle condizioni sociali dalla direzione di un centro agli impulsi della periferia è una chiave che trova nel terreno fertile dell’agricoltura un esempio vivente nel suo suolo fertile. La desertificazione è invece la tendenza identitaria a cui l’agricoltura produttivista condanna i suoli. Una simile agricoltura è dipendente da centri di potere e da input esterni e non prevede l’apporto delle periferie. Finché questo modello agricolo, perpetuerà il proprio dominio persisteranno le formule che attribuiscono alle élite il compito dell’innovazione. Siamo convinti della ineluttabilità di un modello decadente dalla fisiologia che attribuisce al sistema nervoso centrale le stesse facoltà attraverso i nervi detti motori. L’idea che i nervi non siano solo sensori, ma anche generatori di volontà e di prassi proviene da un’idea sociale che vede il centro-cervello il centro gerarchico di comando. La prassi umana attribuita al comando centrale di un cervello è il modello stesso dell’organizzazione disumanizzata delle gerarchie sociali. La volontà individuale perde così ogni possibilità di libertà se è diretta da impulsi eminentemente fisiologici del sistema neurosensoriale. Il suolo vivente mostra invece che come la periferia della terra, le mani e i piedi dell’essere umano sono liberi e la parte più distintiva dell’umano.
L’agricoltura delle periferie è anche il modello ispiratore per una società nuova, in cui le scelte non provengano dal centro, ma dagli impulsi di volontà , dalla prassi umana, dalle aspirazioni degli ultimi. Così salveremo anche il centro, poiché il centro del mondo deve essere il luogo dell’ascolto e della custodia generato dalle periferie. Occorre allora sostenere le realtà agricole individuali e libere, che daranno vita a comunità del cibo, così da unire contadini e cittadini e rompere, a partire dall’applicazione della prossima PAC, la separazione tra élite del privilegio e mondo della disperazione.
Riconosciamo una storia alla natura
Per questo vi è un cammino spirituale da compiere. La critica marxista si è impegnata perché fosse riconosciuta l’umanità per la sua possibilità di produrre libera da bisogni fisiologici. In questo l’essere umano si distingue dall’animale che produce esclusivamente per una necessità genetica, o istinto di gruppo. L’eccellenza umana non è la perizia tecnica, così esaltata dalla scienza dogmatica. Non è nemmeno nella produzione della bellezza che per alcuni costituirebbe in sé la salvezza. In quanto a bellezza le celle esagonali delle api superano tanti manufatti umani. Quello che distingue i prodotti di un essere umano da quelli di un essere di natura sta nel fatto che un essere umano può anche produrre qualcosa in uno stato di libertà dal bisogno, dopo aver concepito un’idea, manifestando la propria umanità nella prassi della libera volontà . Sulla base delle aspirazioni del singolo essere umano libero la lunga azione degli esseri umani individuali diviene storia umana e non semplice sequenza di eventi. L’umanità esiste come ente emergente rispetto al singolo, in quanto è storia di tendenze agli ideali dati.
Aver introdotto una distinzione tra animale ed essere umano non ci esime dalla responsabilità di comprendere se la natura, oltre all’umanità abbia una storia e quindi sia l’ente emergente da impulsi sorti dai tipi naturali. Il materialismo ha negato alla natura, come ente emergente, la libertà che ha riconosciuto all’umanità . Oggi possiamo liberare la natura per liberare l’umanità , rovesciando l’assunto che non riconosce alla natura una comunione di varie intenzionalità . Alla base di ciò c’è la metafisica dell’origine materialistica del mondo. Per il dogma materialista la vita sarebbe sorta dalla materia. A quest’ultima andrebbe riconosciuta la dote dell’innatalità e dell’immortalità un tempo riconosciuta alla Divinità . In realtà non osserviamo mai la materia generare spontaneamente la vita e osserviamo invece i processi viventi che sedimentano materia. La biologia non sa definire la vita. Abbiamo allora bisogno di una scienza ideale, ossia una scienza che tratti gli ideali come oggetto di ricerca. Possiamo allora sperimentare se i principi e i tipi ideali siano la prima produzione di base con cui la natura realizza liberamente singoli enti. Dobbiamo per questo dare dignità scientifica allo studio dei principi e dei tipi naturali, come oggetti ideali di una scienza immaginativa. Le singole manifestazioni naturali che ci si presentano come necessarie, apparirebbero allora come le conseguenze di una facoltà libera creatrice presente nella natura che si articola per tipi. Il singolo alveare sarebbe sì necessitato a un comportamento specifico, ma sotto l’influenza di una più ampia libertà creativa del tipo di cui gli alveari sono la manifestazione. L’identità di ciascun tipo animale non è, come invece nel caso dell’essere umano, indipendente nel singolo individuo. Non per questo dobbiamo negare alla natura una facoltà creatrice libera e dunque una storia.
Se adottiamo questo percorso dobbiamo però anche rovesciare l’assunto idealistico e dare consistenza concreta all’ideale quale feno meno e trattarlo empiricamente come un ente conoscibile le cui manifestazioni sono i singoli enti di natura. Possiamo così trattare i principi fisici e i tipi vegetali e animali come la manifestazione di esseri che agiscono attivamente nella storia naturale. Per una simile visione ampia, ma su base sapienziale e non scientifica, la saggezza contadina atavica è stata capace di domesticare e plasmare terre, piante e animali. Per una strada rifondata su basi scientifico spirituali, oggi l’ecologia agricola considera la vita, l’organizzazione e il tipo come le matrici, i bozzetti generali che precedono la materia con le sue sedimentazioni. E di tanto l’essere umano perde la sua intima natura e diviene subumano quando produce meccanicamente, senza consapevolezza e per mera necessità adattativa, così altrettanto la natura perde se stessa e diviene sub-natura quando è ridotta a una coazione di necessità e smette di manifestarsi nella creazione libera del tipo evolutivo.
Dalla sub-natura al sub-umano fino al transumanesimo
La sub-natura si è generata per effetto dell’abbrutimento della natura a opera del sistema produttivo moderno, che la riduce a merce e la consuma. Così, decadute e asservite, la natura e l’umanità sono due orfane senza ragione e senza storia. Alla natura, nella sua assimilazione al processo moderno di accumulazione e consumo, potrà essere concessa una mera evoluzione dettata da necessità adattativa, la formula prevalente e banale dell’evoluzione darwiniana. Non altro. Si tratta di un’evoluzione priva di storia, un susseguirsi di mutazioni eteroprodotte. Questa condizione mette uomo e natura davanti a una stessa crisi. Tanto gli esseri umani trasformati in oggetti della produzione meccanica sono stati disumanizzati e privati di una propria storia, tanto i tipi naturali dell’agricoltura iperproduttiva sono stati privati di una storia evolutiva, di una storia propriamente detta, attraverso una selezione meccanica indotta dalle tecnologie della vita.
È questo il prodotto di un lungo processo. Dapprima con una impietosa applicazione dell’ideologia borghese gli operai sono stati isolati dalle proprie radici umane, poi privati di dignità ed estraniati in una catena di montaggio. Sulla base di questo stesso modello è stata concepita l’evoluzione naturale come filogenesi selettiva, riflesso meccanico ed effetto necessario di input solamente esterni regolati dalla competizione per la sopravvivenza. Abbiamo escluso ogni processo interno compiuto liberamente dal tipo. Come abbiamo privato esseri umani della libertà e di una propria vita spirituale, così abbiamo escluso dalla storia il tipo naturale, escludendo ogni ispirazione libera e creativa che potesse originare da una realtà soprasensibile che vive nel mondo. Su questa base abbiamo infine concepito la selezione industriale più recente delle specie agricole, fino ad arrivare agli OGM, il frutto di una modificazione meccanica priva di coevoluzione. Allo stesso modo dell’umanità disumanizzata e condotta al transumano, stiamo trattando la natura, sfruttata, inquinata e ridotta a subnatura per arrivare al trasnaturale. Il rovesciamento in favore di un’agricoltura della liberazione richiede di superare questa crisi.
L’organicismo e la cura dell’humus
Attraversare la soglia di una nuova agricoltura ci permette di avviare un cammino contadino che concepisce la realtà terrestre come condizione necessaria per l’atto creativo della conoscenza, ma non individua nella terra la causa necessaria e il fine ultimo. L’agricoltura biodinamica che fonda il campo come un organismo a ciclo chiuso per questo riesce a portare a un livello emergente di relazione i singoli fenomeni che sarebbero separati nella loro manifestazione.
La civiltà contadina ha operato mirabilmente nell’evoluzione. Dalla conoscenza dei tipi ideali, ha indirizzato un’azione nel Vivente. Ha preso i fatti di natura, le acque e i suoli, le piante e gli animali e li ha portati all’ideale, trasformandoli cioè da acque, suoli, piante e animali selvatici, in paesaggi, terreni, colture e allevamenti compagni dell’ideale di umanità che emergeva di tempo in tempo. È un cammino di conoscenza contadina che si manifesta nell’azione illuminata, che riesce a far evolvere la terra, a conformare gli elementi chimici e minerali, le proteine e i microbi in supercomunità cooperanti e trasforma così l’ambiente naturale in un organismo ipercomplesso e durevolmente fertile per la produzione di cibo e l’ospitalità della vita. Ovvero in un insieme organico di livello emergente, in una supercategoria emergente da una nuova dimensione.
Per fare questo non basta operare meccanicamente a partire dai singoli elementi da sommare e montare. Tocca infatti concepire creativamente un’immagine organica, un principio soprasensibile plasmatore su cui costruire una nuova realtà . Sulla scorta di un’ispirazione ideale il contadino ha concesso all’acqua e al suolo lo status di enti ideali attuali. Così accompagnati dal lavoro dei campi, essi insieme conformano umanamente lo stesso humus di natura. L’humus è la vita nella terra, che il contadino prende in carico e accompagna creativamente nell’evoluzione. L’humus in natura è acqua che, congiunta a una piccola parte di minerale, ha sospeso il suo flusso in una forma solida che si scioglie continuamente in movimenti rinascenti, con i quali assicura la continuità della vita terrestre. L’essere umano è capace di umanizzare questo straordinario essere di natura, interagendo creativamente con esso. L’agricoltura iperproduttivista non comprende e degrada l’humus. L’agricoltura che nasce da una scienza immaginativa ha carattere di ispirazione e accompagna invece l’humus in una coevoluzione con l’umano. Nel Genesi è Dio a prendere la terra-humus e a farne humus-uomo attraverso i gesti di dare la forma e di soffiare la parola. Sarà però il contadino ribelle che, avendo voluto somigliare a Dio, uscirà dalla grazia paradisiaca e prenderà faticosamente l’humus di natura per coltivarlo e farlo evolvere in forme antropiche ideali. Il contadino imparerà il segreto della vita con cui creare un humus umano di qualità superiore al prodotto di natura, un superamento della condizione di grazia del paradiso terrestre, che è il compito identitario dell’agricoltura. In questo la missione dell’agricoltura è sociale e dunque profondamente umana.
La cultura contadina ha riconosciuto l’humus, ha imparato a custodirlo e a farlo evolvere in forme sempre più complesse. Tale evoluzione è stata compiuta da diversi gruppi etnici. Essi non hanno usato l’humus come giacimento da cui estrarre frazioni concimanti, poiché per la cultura contadina etnica l’humus è la terra madre degli esseri viventi. Oggi possiamo sciogliere l’agricoltura dai legami etnici e permettere all’essere umano nella sua libertà individuale ispirata da ideali, una super-comunità ipercomplessa e circolare. L’acqua e la terra, il tempo e lo spazio coincidono nell’humus che è sospensione chimica e iper-complessità biologica. L’humus per questo è stato definito dall’agricoltura biodinamica status nascendi. È questo ente ideale l’origine da cui conformare le frazioni dell’humus, frazioni da cui conformare le supermolecole, da cui conformare le molecole, con cui conformare gli atomi.
In agricoltura le realtà ideali sono così esperibili nello spazio ideale tra i fenomeni.
L’azienda concepita come organismo e ispirata da un principio sovrasensibile è il punto di partenza per costruire una individualità agricola, qualcosa di emergente rispetto all’organismo. Come l’animale è l’immagine ispirativa dell’organicismo, così l’essere umano può essere l’immagine ispirativa di un’agricoltura della libertà . Un’azienda individuale sarà irripetibile per i suoi suoli, piante, animali e prodotti alimentari. Cibarsi di cibo contadino individuale è polare rispetto a cibarsi di materie prime, di commodity. Assaggiare il cibo originale di una individualità agricola permette di esercitare nella diversità dell’assaggio la saggezza umana, che invece è minacciata dall’omologazione dei sapori e dei saperi dell’agricoltura iperproduttiva. Ogni generazione contadina ha lavorato per dare all’essere umano il cibo ideale per sostenere le aspirazioni di un momento storico dato. Un compito la cui riuscita non è mai scontata.
Una scienza ideale per una teoresi ecologista
Nei contadini si manifesta una coscienza ispirativa che compenetra il mistero e supera i limiti della conoscenza materialistica meccanicistica. Un pensiero umano libero, basato sulla volontà , prende in considerazione la natura e fonda le condizioni perché essa possa evolversi in una supernatura, ossia in un livello emergente evolutivo della natura. Le piante coltivate, che furono domesticate e accompagnate nell’evoluzione dall’uomo alle origini dell’attività agricola, sono un esempio straordinario della capacità umana di prendere un fatto di natura e portarlo su un altro piano, su un livello emergente. Ai nostri giorni questo metodo è applicato per esempio nelle popolazioni evolutive di cereali e consiste in un miglioramento genetico dei semi attraverso il miscuglio di migliaia di varietà diverse, seminate in uno stesso campo per sostenersi a vicenda. Ancora più si può lavorare alla rigenerazione delle sementi sulla base di archetipi ideali da concepire e riconoscere tra le manifestazioni delle varietà esistenti e da portare concretamente in una pianta ideale, un ideale adatto all’essere umano in un determinato luogo e in un determinato momento storico.
Sono esempi di come si possa creare un livello emergente ideale di manifestazione della natura inserita attivamente nel proprio flusso evolutivo. Il metodo opposto a quello evolutivo è quello della manipolazione genetica che, attraverso l’inserimento meccanico di caratteri, isola il fenomeno e trasforma la pianta in una macchina specializzata per rispondere a un singolo problema semplice, incapace però di affrontare e contribuire alle sfide evolutive che si presenteranno. Gli organismi transgenici come gli OGM classici e i nuovi NBT appartengono a quest’ultima categoria e per questo restano i rudimentali strumenti di un’agricoltura di consumo. Allo strumento degradato si cerca di vincolare un agricoltore transumano.
L’essere umano si trova quindi davanti a un bivio: da un lato può continuare ad alimentare la sub-natura e cedere al transumanesimo, dall’altro può compiere un passo rivoluzionario e acquisire le facoltà per accompagnare la natura verso l’evoluzione. È la sfida principale del movimento ecologista, che ora ha bisogno di svilupparsi attraverso una solida fondazione teorica. Occorre per questo una nuova scuola della conoscenza che superi i limiti della conoscenza ordinaria, ma con metodo scientifico. La conquista di un coerente metodo scientifico per ciò che non è materiale, con le sue soluzioni tecnologiche, è uno dei compiti cui la scienza attuale può ambire. Proprio l’agricoltura è la tecnologia dove gli strumenti rigorosi di una scienza ampliata all’ideale possono rendere attuale questa liberazione.