Traditi i cittadini europei
di Carlo Triarico
È veramente misteriosa tutta la vicenda che si dipana intorno alla decisione dell’Unione europea di autorizzare l’utilizzo del più diffuso erbicida, il glifosato. Un’affaire noire su cui occorre fare luce. L’autorizzazione per 5 anni al glifosato, votata il 27 novembre dai paesi dell’Unione in circostanze tali da inficiare forse la stessa validità della delibera, è un nuovo colpo di scena, che rischia di incrinare fortemente la credibilità delle istituzioni europee e di provocare un terremoto per la stessa governabilità del “motore†Germania.
Questo giornale aveva denunciato, tra i primi, i rapporti poco chiari di alcuni scienziati, di alcune autorevoli riviste, apparentemente indipendenti, con Monsanto, la multinazionale produttrice di Roundup, il più noto formulato a base di glifosato. Dalle indagini giornalistiche erano infatti emersi rapporti di dipendenza, contratti e accordi per generare alcune rassicuranti ricerche, in realtà occultamente ispirate dall’industria produttrice. Era anche emerso che l’Efsa, l’Autorità dell’Ue per la sicurezza alimentare, già accusata dalla ong Ceo per l’alto numero dei suoi esperti in conflitto d’interesse con le aziende i cui prodotti deve valutare, aveva stilato una relazione per il via libera al glifosato, senza condurre ricerche in proprio, ma copiandone parti rilevanti direttamente dalle carte passate dalla stessa Monsanto. Questo pronunciamento aveva legittimato la propensione della Commissione europea ad autorizzare la vendita della sostanza per altri 10 anni.
Uno scandalo scientifico e un vulnus sulla rispettabilità delle istituzioni europee, che aveva spinto il governo austriaco a chiedere alla Commissione l’apertura di un’indagine. È infatti d’importanza vitale fare luce su persone e organizzazioni, su legami, lobby e finanziamenti non palesi, che condizionano occultamente posizioni politiche, informazioni scientifiche e decisioni istituzionali intorno all’affaire glifosato.
La questione è divenuta di massima importanza da quando lo Iarc, l’istituto per la ricerca sul cancro dell’Organizzazione mondiale della sanità , ritenuto la massima autorità in campo oncologico, ha classificato la sostanza come probabile cancerogeno per l’uomo. Lo studio Iarc è stato validato dalla prestigiosa rivista «The Lancet Oncology» e sono ormai centinaia le pubblicazioni scientifiche, raccolte dalla National Library of Medicine degli Stati Uniti, che confermano la pericolosità della sostanza. In Italia, l’istituto Ramazzini compie da tempo indagini d’eccellenza sui preoccupanti effetti del glifosato a bassa e costante assunzione. Questo dovrebbe quantomeno spingere al principio di precauzione. Lo scorso ottobre, infatti, il parlamento europeo aveva deciso a larga maggioranza (355 voti favorevoli, 204 contrari, 111 astenuti) per l’uscita dal glifosato. Un voto però non vincolante per l’Ue, i cui governi nazionali, trovando tra loro una maggioranza qualificata, hanno il potere di decidere diversamente.
Con una vendita di 800.000 tonnellate, per 5,4 miliardi di dollari annui, il glifosato rappresenta un affare colossale, perché il più diffuso agente agricolo nocivo per l’ambiente porta con sé tutto il pervasivo sistema di oligopolio di mezzi tecnici e di brevetti di semi ogm, che vanno usati in combinazione, perché progettati appositamente per resistere dove il potente erbicida fa terreno bruciato. Coldiretti ha infatti opportunamente avviato una campagna per denunciare l’uso indiscriminato del glifosato e porre almeno dei limiti sia all’uso interno, sia all’importazione in Italia di alimenti contaminati. Ed è proprio questo il punto in ballo: il futuro agricolo e la visione d’Europa, giustamente avverte Carlo Petrini di Slow Food. Onesta aspirazione, su cui pesa però la recente decisione della tedesca Bayer di assorbire la statunitense Monsanto. La fusione in un unico colosso che concentra semi, veleni, mezzi e poteri, è costata già alla Bayer sessantasei miliardi di euro: l’affare però potrebbe rivelarsi molto meno produttivo in caso di ritiro del glifosato.
Decisa a far valere il bene comune sugli interessi privati, la Coalizione Stopglifosato (solo in Italia 51 organizzazioni) ha lanciato una mobilitazione di grande valore civile per l’abolizione, sostenuta da oltre un milione e trecentomila cittadini europei, che hanno sottoscritto l’appello StopGlifosathe. Il ministro italiano dell’agricoltura Maurizio Martina per primo ha fatto propria l’istanza, candidando con questo l’Italia alla leadership europea di un’agricoltura ecosostenibile e innovativa.
Si tratta anche di un’importante scelta di indirizzo strategico e politico. Non a caso il paese è già leader di biologico e biodinamico (15 per cento dei campi coltivati), una scelta premiante anche economicamente, vista la crescita costante del mercato alimentare di qualità sia in termini di prodotto interno, sia di posti di lavoro.
L’ultimo colpo di scena, lo scorso 27 novembre, è stato il voto favorevole dei paesi dell’Unione europea al glifosato, con il governo tedesco pressato dall’opinione pubblica e perciò deciso a non votare il rinnovo e il suo ministro che invece vota a favore. Il voto di uno solo, all’insaputa del suo governo e contro l’opinione pubblica, ha potuto capovolgere gli esiti della decisione. Una performance, se possibile, ancora peggiore della recente decisione di portare in Olanda l’agenzia del farmaco, tirata a sorte con la monetina. Solo le circostanze di questa vicenda dovrebbero bastare a ispirare un netto parere contrario dell’antitrust europeo, chiamato prossimamente a decidere sulla fusione Monsanto Bayer.
All’indomani di questa votazione, i giornali hanno parlato di una bomba contro Angela Merkel e la sua incerta maggioranza, lanciata dal ministro dell’agricoltura Schmidt della Csu, non a caso bavarese. Più gravemente quello che qui denunciamo è il tradimento dei cittadini, della ricerca scientifica, della speranza di tanti agricoltori di essere tutelati e di potersi affrancare dalle sostanze che per primi li danneggiano. Va denunciato un sistema produttivo che uccide, i più poveri per fame, i più ricchi per eccessi. Il cambio di passo è affidato all’affermazione del diritto umano alla conoscenza, da cui dipenderà in futuro l’indipendenza delle istituzioni democratiche e degli istituti scientifici da poteri multinazionali, che ormai superano per fatturato e influenze gli stessi stati nazionali. Dipenderà da ciò la libertà di ricerca scientifica e di informazione. La conoscenza come diritto umano deve precedere e accompagnare le azioni e le decisioni pubbliche. Dovremo conoscere le organizzazioni di influenza, la rete di relazioni attive e poco note. Dovremo sapere tutto di organizzazioni come Europa bio, che non compare mai coinvolta in questa vicenda, ma che è la più grande e influente organizzazione governata insieme alle pur concorrenti industrie biotech. Bisognerebbe conoscere perché organizzazioni politiche “per la libertà di scelta†e “per la libertà della ricerca scientifica†si schierino all’occorrenza contro gli scienziati e a difesa delle agenzie governative. Ma bisognerebbe conoscere tutto questo prima che le decisioni siano prese, per valutare col giusto peso ricerche scientifiche, campagne d’opinione, passi istituzionali e rappresentanze politiche.
Non solo è necessario un riesame della decisione sul glifosato presa il 27, come richiede la coalizione italiana Stopglifosato, ma a partire da quanto avviene intorno all’affaire glifosato, i cittadini devono ottenere un impegno delle istituzioni a far luce sul loro futuro.
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